3 cose che devi assolutamente conoscere per conservare al meglio una bottiglia di Conegliano Valdobbiadene Docg!

Come conservare le bottiglie di Prosecco Superiore Docg e in generale degli spumanti? Ci sono regole particolari da seguire? Diciamo subito che in linea di massima le accortezze da usare per un buon Conegliano Valdobbiadene sono le stesse che dovremmo usare per un pregiato Soave o un austero Barolo. Quel che conta è preservare la qualità del vino, farlo arrivare il più integro possibile sulla nostra tavola. E per far questo occorre prestare attenzione a 3 questioni fondamentali. Vediamole insieme.

L'esposizione alla luce

Il nemico numero 1 per tutti i vini è l'esposizione alla luce, solare in primis, ma anche artificiale. Questo perché a causa dei raggi UV e del calore che questi trasmettono alcune proprietà organolettiche del vino, nel tempo, vengono inevitabilmente alterate. A tutti sarà capitato di dover acquistare all'ultimo momento una bottiglia al supermercato e di trovarsi nel bicchiere un vino sfibrato, scarico, quando non addirittura ossidato. Nel 90% dei casi dovrete ringraziare la luce dei faretti posti sopra lo scaffale.

Il colore verde della maggior parte delle bottiglie svolge in questo senso una vera e propria azione protettiva che però serve a poco se abbiamo l'abitudine di tenere il vino ben esposto in cucina, magari sopra la credenza.

L'escursione termica

Quando il vino non riposa in un ambiente sufficientemente stabilizzato il danno è inevitabile. Temperature troppo alte accelerano infatti l’evoluzione del vino, mentre quelle troppo basse la rallentano. L'oscillazione repentina tra l'una e l'altra semplicemente lo distrugge. La temperatura ideale per la conservazione del vino va dai 12° ai 16°C, ma possiamo comunque ottenere un buon risultato se l'ambiente si mantiene costante intorno ai 20-22°C.

Nel caso degli spumanti la questione è aggravata dal fatto che la temperatura esterna influisce sulla pressione interna del vino. Ecco perché, soprattutto in estate, alcune bottiglie potrebbero scoppiare. Succede anche in enoteca, non solo a casa!

La mancanza di umidità

Non è certo un caso se la maggioranza delle bottiglie in commercio hanno tappi in sughero. Oltre ad essere perfettamente naturale, il sughero ha 2 caratteristiche fondamentali: pur essendo impermeabile ai liquidi (ne impedisce la dispersione all’esterno) è al tempo stesso permeabile all’aria: attraverso il graduale e ridotto passaggio di ossigeno all’interno della bottiglia il vino può quindi evolvere lentamente, ma in modo costante. Ecco perché possiamo bere grandi rossi da invecchiamento anche a distanza di 30 anni dalla vendemmia!

Bisogna però fare attenzione. In ambiente troppo secco il tappo si chiude e porta all'ossidazione del vino; in uno troppo umido avremo problemi contrari: muffe e cattivi odori che altereranno il gusto del vino (tra i quali il famigerato sentore di tappo).
Il tasso di umidità ideale va dal 50 all'80%.

Come e dove conservare il vino

L'ideale, si sa, sarebbe avere una cantina a temperatura (e umidità!) costante. Ma quanti di noi possono permettersela? Il garage è una buona alternativa, a condizione però di non utilizzarlo per il parcheggio della macchina o per la stagionatura di salumi e formaggi. Il vino è molto sensibile agli odori e li assorbe incorporandoli nel suo spettro olfattivo.

Esistono in commercio delle piccole scaffalature che hanno il pregio di occupare poco spazio e generalmente contengono un buon numero di bottiglie. Quelle di bianco e di spumante vanno collocate in basso, dove la temperatura è più bassa e più vicina a quella di consumo.

Se non abbiamo il garage o una stanza sufficientemente areata, possiamo utilizzare un vecchio armadio e rivestirlo di polistirolo; soluzione economica che garantisce dei buoni risultati: la temperatura è piuttosto costante e il contatto con la luce pressoché nullo.

Qualunque sia l'ambiente che destineremo alla conservazione del nostro vino, teniamo presente che le bottiglie andrebbero sempre tenute coricate: in tal modo infatti il tappo resterà a contatto con il vino e manterrà la sua giusta umidità. Tuttavia, per un tempo limitato, non comunque superiore ai 12 mesi, le bottiglie di spumante, e dunque anche di Conegliano Valdobbiadene Docg, possono restare in piedi. La pressione interna e la presenza di anidride carbonica, infatti, manterranno il tappo sufficientemente umido, preservandolo da infiltrazioni indesiderate.

Che si tratti di spumanti, bianchi fermi o grandi rossi vale sempre e comunque la regola d'oro: prima di stapparla abbiate sempre l'accortezza di porre la bottiglia in posizione verticale per qualche ora: eventuali sedimenti, che potrebbero alterare l'aspetto visivo del vino, si depositeranno sul fondo.

Se riusciremo a seguire questi piccoli ma essenziali suggerimenti, come direbbero i Beatles in "Being for the Benefit of Mr. Kite" a splendid time will be guaranteed for all!

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Conegliano Valdobbiadene Docg e Radicchio Rosso di Treviso IGP: un matrimonio d'eccellenza!

In questo periodo dell'anno la Marca Trevigiana ci regala uno dei suoi prodotti più celebri: il Radicchio Rosso Tardivo, ennesimo fiore all'occhiello di un territorio già ricco di eccellenze. Abbinatelo con il Conegliano Valdobbiadene Docg e avrete il privilegio di degustare uno dei connubi più felici tra cibo e vino.

Il Radicchio Rosso di Treviso IGP è una cicoria a foglie lunghe, di colore violaceo con striature bianche, per lo più coltivato nella Provincia di Treviso, con qualche propaggine nel padovano e nel veneziano. Di consistenza croccante, con un leggero fondo amarognolo, da degustare sia crudo che cotto, è un ortaggio di grande versatilità in cucina: dall'entrée al dessert sono moltissime le ricette, spesso assai sfiziose, che lo prevedono.

Ve ne proponiamo due semplici semplici che non mancheranno di regalarvi grandi soddisfazioni con i vostri ospiti: la prima non contempla l'utilizzo del Prosecco nella ricetta, la seconda sì.

Radicchio fritto

Il fritto si sa, piace un po' a tutti. Con qualche piccolo accorgimento e avendo cura di non abusarne, si possono preparare un'infinità di stuzzichini irresistibili. Tra questi il nostro radicchio rosso tardivo non sfigura di certo, tanto più che essendo un prodotto tipicamente invernale ha il grande pregio della rarità.

Poiché parte del radicchio che useremo per questo piatto ci servirà anche per quello successivo, contiamo le canoniche 4 persone e prendiamo 4 ceppi belli “carnosi”. Eliminiamo subito i gambi avendo cura di tenerne circa un centimetro che andremo a mondare della scorza immediatamente superficiale. Dal gambo rimasto contiamo circa 5/6 centimetri e tagliamo di netto il ceppo. Tranquilli non butteremo via niente: il resto ci servirà dopo.

Della parte del ceppo che utilizzeremo per la frittura ricaviamoci dai 6 agli 8 spicchi, più o meno delle stesse dimensioni. Mettiamoli in acqua fredda e lasciamo depositare le varie impurità per qualche minuto; ripetiamo l'operazione 3 volte e asciughiamo con della carta assorbente.

In una terrina dove avremo precedentemente sbattuto 2 uova con una presa di sale, pepe e un po' di noce moscata, adagiamo un po' alla volta i vari spicchi di radicchio, già passati nella farina, e dopo averli sgocciolati rigiriamoli più volte nel pan grattato, in modo da ottenere una panatura omogenea. Quando sarà il momento scaldiamo in una pentola capiente abbondante olio di arachidi e friggiamo il radicchio che naturalmente andrà servito ben caldo.

Per strappare il fatidico primo applauso della serata, servite accompagnandolo con un Rive di San Michele Extra Dry, la cui persistenza aromatica unita ad un carattere unico sapranno esaltare la fragranza del fritto.

Pasticcio di crêpes al Radicchio e Prosecco Superiore Docg

I pasticci, siano essi di lasagne o di crêpes come in questo caso, condividono lo stesso destino delle fritture: piacciono a tutti. Di carne, di pesce, di verdure, misti... ce n'è veramente per tutti i gusti.

Dando per scontata la preparazione di besciamella e crêpes, tagliate le foglie di radicchio in pezzettoni da 2/3 cm e mettetele a bagno come nella ricetta precedente.

Nel frattempo sbucciate un paio di scalogni di media grandezza e affettateli finemente. In un'ampia casseruola fate sciogliere del burro con un po' di olio Evo, quindi inserite lo scalogno e lasciate imbiondire. Asciugate sommariamente il radicchio e mettetelo in pentola, mescolando spesso. Poco prima che appassisca del tutto versate un bicchiere di Conegliano Valdobbiadene Docg, lasciate evaporare l'alcol, aggiustate di sale, pepe, aggiungete un pizzichino di cannella già macinata, chiudete con il coperchio e cucinate a fuoco moderato. Contate dai 30 ai 45 minuti: il radicchio deve essere ben stufato ma non completamente sfatto.

In una pirofila rotonda da forno spalmate uno strato di besciamella, adagiate una crêpe, distribuite prima la besciamella poi il radicchio e infine gratuggiate della ricotta affumicata. Ripetete l'operazione per 5/6 volte. Nell'ultimo strato privilegiate la besciamella e assieme alla ricotta unite anche del buon Parmigiano Reggiano. Infornate a 180° e cuocete fino al grado di doratura preferito. Lasciate riposare 5 minuti prima di tagliare e servire.

A questo punto, dopo il primo boccone, scatterà l'ennesimo e meritatissimo applauso. Che si tramuterà in ululato non appena i commensali assaggeranno il vino che avrete versato nei loro calici: un Rive di Collalbrigo Costa Extra Brut, la cui struttura importante, aggiunta alla complessità aromatica e gustativa, sposerà alla perfezione la morbidezza del piatto.

Buone feste e buon appetito!

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Il Conegliano Valdobbiadene Docg per un brindisi perfetto!

Sono innumerevoli le occasioni che richiedono un brindisi, dalle più solenni alle più spensierate e oggi più che mai il Conegliano Valdobbiadene Docg ne è diventato autorevolissimo ministro.

Il termine brindisi, forse non tutti lo sanno, è di origine tedesca e viene dall'espressione “bring dir's” che significa “io porto a te”, quale omaggio alla dignità dell'ospite e quale promessa di non belligeranza: celebrazione di una condizione di serenità, di amicizia, di riconoscenza, di rispetto...

Una tradizione antichissima.

Il vino, assieme all'olio d'oliva e al pane, è uno dei simboli della cultura mediterranea fin dall'antichità. La fede nelle sue capacità di elevare lo spirito al di là dei propri limiti naturali si sviluppa particolarmente nei culti greco-romani di Dioniso e Bacco.

Innalzare i calici per ingraziarsi in qualche modo la divinità è di grande valenza simbolica: non significa solo chiederne l'indulgenza, ma a un livello più profondo favorisce la comunicazione tra mondo umano e mondo divino. Non a caso il vino nella tradizione giudaico-cristiana è considerato un dono di Dio e, da un punto di vista eucaristico, rappresenta il sangue del Redentore.

Ma il ruolo del “nettare degli dei” è stato da sempre centrale anche nei rituali secolari o più semplicemente conviviali. Erodoto, ad esempio, ci racconta di quanto fosse importante la sua presenza nelle cene dell'antico Egitto, Platone nei simposi ateniesi e Plinio nei banchetti romani. E la sua presenza è testimoniata da scritti e dipinti risalenti al Medio Evo, al Rinascimento fino a giungere ai giorni nostri.

Il brindisi con il botto!

Fino al 1600 circa, le bollicine così come noi le conosciamo oggi non esistevano. La loro “scoperta/invenzione” pare la si debba, per caso, al leggendario Pierre Pérignon, monaco benedettino vissuto in Francia nel XVII secolo, nella zona dello Champagne. Quel che è certo è che lo Champagne da tranquillo che era divenne frizzante.

Il fascino delle bollicine che salgono verso l'alto, il colore particolarissimo, i profumi dovuti alla persistenza sui lieviti, la percezione tattile dell'effervescenza sul palato renderanno lo Champagne il vino più gettonato in tutte le corti d'Europa, nelle dimore signorili e partner ufficiale di tutte le ricorrenze e festività importanti.

Il gesto spettacolare di stappare la bottiglia col botto non fa che aggiungere fascino al fascino. Ed è una via di non ritorno: da allora saranno le bollicine le regine incontrastate di qualsiasi brindisi che si rispetti.

Lo straordinario exploit del Prosecco!

Sovrano incontrastato del Metodo Charmat, il processo di spumantizzazione che anziché in bottiglia avviene in autoclave, il Prosecco da qualche anno a questa parte è diventato la bollicina più venduta al mondo. Un risultato incredibile, inimmaginabile solo una ventina d'anni fa.

Se l'ottimo rapporto qualità-prezzo ha giocato un ruolo sicuramente importante, a nostro avviso, sono le stesse caratteristiche del vino ad aver favorito questo trionfo.

Dovendone scegliere una, non avremmo dubbi: la sua leggerezza. Il Prosecco non è un vino austero, meditativo, cerebrale... è sempre schietto, fresco, allegro. Se lo Champagne esige la cravatta, l’eccellenza del mondo Prosecco, il Conegliano Valdobbiadene Docg, può farne anche a meno. È un vino che fa compagnia, che sa adattarsi a qualsiasi situazione: non teme le ricorrenze importanti, anzi sa assecondarle con grande autorevolezza, ma è allo stesso tempo alla mano, compagno ideale per una bicchierata improvvisata tra amici.

Questa sua favolosa capacità di adattamento, questa sua innata “democraticità”, mantenendo sempre il medesimo profilo qualitativo, lo ha reso il vino ideale per tutte le occasioni in cui ci sia da celebrare qualcosa. In tutto il mondo!

A proposito. Anche se stappare la bottiglia “col botto” è tanto spettacolare, sappiate che il vino ne soffre: liberare in modo così violento la pressione interna altera la persistenza delle bollicine e l'aroma stesso del vino... Cin cin!

 

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La lunga strada del Prosecco Superiore Docg: dal vigneto al bicchiere. Prima parte.

Da dove nasce l'emozione che ti può regalare un Prosecco Superiore Docg? Dalla qualità del vino dirai. Certo, ma non solo.

Immaginiamo che tu possa vedere un vignaiolo all'opera. Lo osservi mentre lavora la terra e quando cura il vigneto; lo osservi mentre scruta, preoccupato, un cielo nero carico di pioggia, forse di grandine; mentre controlla che il vino, in cantina, stia evolvendo verso ciò che sarà poi il prodotto finale, quello per cui lui ha faticato così tanto.
Immaginiamo ora che quel vino che hai visto nascere sotto i tuoi occhi, tu possa adesso contemplarlo in un bicchiere. Non credi che ti sentiresti molto più coinvolto nel degustarlo?

Ogni calice di Prosecco Superiore Docg ha una sua storia. Una storia che non tutti conoscono e che merita di essere raccontata.

Il Conegliano Valdobbiadene Docg: dal progetto all'etichetta.

Nella zona del Conegliano Valdobbiadene Docg, il produttore è spesso (non sempre) un vignaiolo con dei vigneti di proprietà che da conferitore di uve per conto terzi (sia cantine sociali che non) decide di mettersi in proprio e creare la propria etichetta.

Il suo braccio destro è l'enologo, il cui primo compito è verificare la fattibilità del progetto imprenditoriale. Una volta accertatosi che le caratteristiche morfologiche del terreno siano effettivamente compatibili con le ambizioni qualitative del produttore, l'enologo farà in modo che tutte le fasi necessarie alla realizzazione del prodotto, dalla cura del vigneto all'elaborazione del vino in cantina, siano corrispondenti agli obiettivi prefissati.

Potatura e resa per ettaro

C'è chi dice che il vino, innanzitutto, si fa in vigna. Non è una battuta. Il primo obiettivo da perseguire è avere cura del vigneto, seguirlo in tutte le sue fasi, verificare costantemente lo stato di salute dell'uva per far sì che questa, al momento della vendemmia, sia il più integra possibile.

Tra le molte operazioni importanti ce n'è una, la potatura, che ha a che fare con un concetto di cui probabilmente avrai sentito parlare: la resa per ettaro. Di che si tratta?

Attraverso la potatura il vignaiolo, tagliando i rami lunghi che produrrebbero molto frutto, fa sì che la quantità di uva per pianta si abbassi. Meno uva sulla pianta causa minore stress alla vite e soprattutto conferisce maggior qualità a quella rimasta, in grado così di assorbire tutte le sostanze nutrienti.

È questa è una delle condizioni fondamentali per creare grandi vini, per inciso regolamentata dai vari disciplinari. Nel caso del Prosecco la resa per ettaro destinata alla Doc è pari a 180 quintali, mentre per la Docg la quantità scende a 135: maggiore è la selezione delle uve migliore sarà la qualità del vino.

Vendemmia, diraspatura e pressatura soffice

Generalmente a settembre, quando l'uva attraverso analisi sensoriale o chimica viene giudicata matura, si comincia la vendemmia che data la tipologia del territorio, per lo più collinare con pendenze anche vertiginose, per il Conegliano Valdobbiadene Docg è fatta a mano.

Non appena tagliata, l'uva viene adagiata in cassette che devono essere portate al più presto in cantina. È essenziale evitare che l'uva prenda troppo sole e si scaldi: altrimenti potrebbe partire una fermentazione spontanea difficilissima da correggere in seguito.

In cantina la prima cosa da fare è la diraspatura, un procedimento meccanico che serve a separare la parte lignea del grappolo, il cosiddetto raspo, dagli acini. Man mano che l'operazione procede, questi vengono convogliati dalla diraspatrice a una serpentina di tubi refrigeranti che mantengono l'uva a una temperatura costante tra i 15° e i 18°.

Dalla serpentina gli acini confluiscono in una pressa dove, ad una temperatura controllata di circa 15°-16°, se ne estrae il succo, separando la polpa dalla buccia. Il risultato di questa fase, detta “pressatura soffice”, è il mosto fiore, il vino al suo stato più grezzo, molto torbido perché estremamente concentrato. Da 100 kg di uva si estraggono più o meno 70 litri di vino.

Dalla pressa il mosto passa, senza soluzione di continuità, direttamente in grandi vasche d'acciaio dove pian piano si comincerà a costruire la base del vino.

Tieni presente che dalla vendemmia alla pressatura in realtà non sono passati che pochi minuti. Tutte queste operazioni vanno svolte in tempi rapidi e a temperature controllate per evitare fermentazioni indesiderate che potrebbero seriamente compromettere la qualità del vino.

Una considerazione

Siamo solo all'inizio: la strada da percorrere per assaggiare il nostro vino è ancora lunga e la vedremo nei dettagli nei prossimi articoli. È bene però che una cosa ti sia chiara fin da subito: qualsiasi vino di qualità è sempre il risultato di un processo costantemente monitorato. E di un grande lavoro di squadra.

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